C'è una notizia che, pubblicata sul Sole 24 Ore in agosto, è passata quasi inosservata (ripresa a settembre nella newsletter del sindacato del mondo della ricerca ANPRI) ma che deve far riflettere non poco in tema di mobilità sostenibile e dell'incremento dell'uso delle biciclette come mezzo di locomozione. L'ordinanza n. 7970 della Corte di cassazione depositata lo scorso 18 maggio ha dato infatti ragione all'INAIL che aveva negato l'indennizzo ad una signora che, recandosi sul posto di lavoro in bicicletta, aveva subito un incidente. I giudici hanno motivato la sentenza ritenendo inutile, più rischioso e dispendioso in termini di tempo l'uso del mezzo privato (una bicicletta in questo caso) in un centro cittadino servito da mezzi pubblici. Essendo pertanto possibile recarsi al lavoro coi mezzi pubblici, l'uso del mezzo privato, che comporta nel caso della bicicletta anche un aggravio in termini di tempo, è ritenuto inutile al punto da non concedere l'indennizzo per l'infortunio subito.
Una sentenza che deve far riflettere sia quanti si ostinano ad utilizzare i mezzi privati come strumento principale per recarsi al lavoro (sottoscritto compreso) che in particolare quanti ritengono (a parere del sottoscritto a ragione) che la bicicletta possa costituire una valida alternativa in termini di mobilità sostenibile.
La realtà è che, a prescindere da tutto, sarebbe opportuno investire tempi, idee e denaro soprattutto nel potenziamento del servizio di trasporto pubblico, rendendo di fatto inutili i mezzi privati. I pochi, vecchi, bus ed un servizio metropolitano che funziona nelle ore di punta con frequenze simili a quelle estive e notturne tradizionalmente adottate nelle grandi metropoli europee costituiscono un dazio troppo pesante da pagare in termini di gestione dei tempi e di mobilità realmente sostenibile da parte della cittadinanza.
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