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Uscito nelle sale venerdì 29, il film oggetto della recensione odierna è l'attesissimo seguito de "L'ultimo bacio" di Gabriele Muccino: Baciami ancora. La doverosa premessa, fatta da regista ed interpreti, è ampiamente confermata: è possibile seguire l'intreccio della storia senza aver mai visto il precedente del 2001. I trent'anni sono oramai passati con le problematiche ad essi legati (precarietà e passaggio dalla spensieratezza dei vent'anni alla necessità di assumersi le proprie responsabilità) ed i protagonisti, di nuovo insieme per la prima volta, chiamati a raccolta dal ritorno in Italia di Adriano (Giorgio Pasotti), dopo dieci anni in fuga dalle proprie responsabilità, si scontrano con la realtà di una generazione alle prese con problematiche spesso troppo grandi per poter godere al meglio di quel che si ha.
N.B. parte della trama è svelata nelle prossime righe.
Il quadro dipinto da Muccino è desolante: fra tradimenti e matrimoni in crisi, persone depresse o fortemente stressate, famiglie allargate e madri single, a prima vista nemmeno uno dei personaggi è felice nè alla ricerca della felicità, invischiato in una realtà le cui maglie sono troppo strette per permettere almeno di volare con il pensiero... spazio per i sogni non c'è nè... Nei 130 minuti di proiezione, a parere di molti dei presenti nel cinema affollato un po' troppi, si alternano in un ritmo talvolta frenetico, litigi, urla, tentativi di suicidio, riavvicinamenti e riallontanamenti, tentativi di ricostruirsi una vita e frequente crollo di questi in pochi attimi, il tutto per costruire agli occhi dello spettatore l'immagine di una generazione, quella dei quarantenni odierni, incompiuta, infelice, demoralizzata e nevrotica. I protagonisti sono ancora alla ricerca della felicità e dell'amore, anche se il dubbio che assale lo spettatore ed anche quello che manifesta l'unico personaggio che abbia fatto della coerenza una scelta di vita, la Livia, madre single, interpretata dalla brava Sabrina Impacciatore, è che piuttosto che alla ricerca dell'amore vero e della felicità, i protagonisti siano alla ricerca di quella tranquillità familiare e di quell'armonia di gruppo che hanno perso a causa di piccoli o grandi errori. Solo negli ultimi minuti del film si scopriranno, fra i tanti protagonisti della storia, chi sono i "vincitori" e chi i "perdenti", con la voce fuori campo del protagonista principale, il Carlo reintrepretato nuovamente da Stefano Accorsi, un po' troppo legato alla propria mimica per eccellere nel ruolo che lo aveva proiettato nell'Olimpo della cinematografia italiana, che prova, in tutto il trambusto creato durante le prime due ore, a far comprendere il senso del messaggio del regista: i problemi, sia quelli insormontabili che quelli piccoli, possono essere risolti a patto di comprendere che sono le piccole cose a dare la felicità nonchè a necessitare di attenzione per non far sì che possano causare rotture.
Il dubbio che la ragione sia dalla parte di Livia, che fa le proprie scelte in base a quello che sia meglio per l'amore della propria vita, il figlio Matteo, e che per proteggere il proprio figlio deve prendere decisioni anche dolorose, resta nello spettatore...
Fra i tanti interpreti, in mezzo a dialoghi un po' troppo spesso urlati, fra attacchi di nervi e depressioni, buona è la prova di Claudio Santamaria, il cui personaggio, Paolo, nonostante sia schizofrenico e depresso, si trova ad essere il moralizzatore ed il punto di unione del gruppo, nella vita come nell'estremo epilogo. Discreta l'intepretazione di Giulia da parte di Vittoria Puccini, chiamata a sostituire la Mezzogiorno, così come quella di Favino, forse un po' stretto nel ruolo del marito tradizionalista e sempre attento a nascondere la propria ira ed i propri sentimenti forti.
Per quanto riguarda la pellicola nel suo complesso, oltre due ore di narrazione sono troppe ed il risultato, stante anche le tematiche forti e particolari affrontate, è che agli occhi di molti spettatori nella sala gremita il film appaia fin troppo pesante e che in molti, sopratutto under-40, siano troppo presi dal discordare sul messaggio del regista per apprezzarne lo stile. Va sottolineato che il pubblico presente ha partecipato attivamente durante la proiezione, con applausi in alcuni punti e commenti, talvolta fortemente coloriti, in altri. Emblematico il caso di una donna, all'atto del ricongiungimento amoroso fra i due protagonisti principali, ha urlato in sala "Gli uomini sono fortunati perchè noi donne siamo così stupide da ricascarci sempre" ...
Giudizio sintetico: @@@
Visto al Martos Metropolitan in sala 3 e posizione centrale: audio e video ottimi e posti comodissimi. Come sempre, il Metropolitan si conferma il miglior cinema a disposizione dei napoletani.
Film non adatto ai bambini per le tematiche proposte e la presenza di diverse scene difficili da spiegare agli under 16. Fra l'altro, non trattandosi di un film "leggero", risulterebbe stancante per un pubblico giovane.
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